I Forti Italiani della Prima Guerra Mondiale

Le fortificazioni della Prima Guerra Mondiale sono forse uno degli ultimi esempi di fortezze erette a scopo bellico nelle guerre moderne .

Il neonato Regno d'Italia aveva la necessità di munire i confini a nord di opere difensive che consentissero di contrapporsi al potente impero Asburgico . Bisogna tenere conto che il primo conflitto mondiale era a cavallo tra due epoche ( il XIX° ed il XX° secolo ) e che molti degli attori dell'epopea risorgimentale erano ancora ai vertici dell'esercito , quindi pregni di concetti operativi e strategici che nel successivo conflitto si dimostrarono del tutto inefficaci .

Tra la fine del 1800 e l'inizio del 1900 gli strateghi dell'esercito si diedero da fare per individuare le posizioni migliori per costruire appostamenti difensivi in grado di fronteggiare un eventuale attacco da nord .

L'Italia , oltre ad una situazione confinaria sfavorevole , doveva fare i conti anche con la scarsità di fondi a disposizione e ,giocoforza, si dovettero operare delle scelte in base alle priorità difensive . Anche la costruzione delle fortezze risentì della carenza di fondi , infatti , al contrario delle fortezze austriache , quelle italiane erano costruite con calcestruzzo cementizio e scarsamente rinforzate , oltre ad avere uno spessore murario inferiore .

La maggior parte delle fortificazioni italiane era edificata secondo il cosiddetto modello Rocchi , massimo teorico delle fortificazioni montane , che stilò una precisa serie di norme tecnico-strategiche per rendere quanto più efficaci possibili le costruzioni difensive di frontiera .

Come venivano concepiti i forti italiani?

La concezione dei forti italiani si basava sul cosiddetto modello Rocchi. Rocchi era un ufficiale superiore del genio che alla fine dell'ottocento concepì un sistema fortificatorio ed una strategia costruttiva più o meno standard delle opere corazzate.

Purtroppo tale strategia si rivelò del tutto inadeguata ai moderni canoni di guerra dove gli eserciti che si fronteggiavano disponevano di armamenti ben diversi e di tattiche di battaglia non più basate su assedi ma su manovre di attacco e di movimento.

I forti erano generalmente costituiti da un banco di calcestruzzo a prova di bomba e a pianta rettangolare che misurava 10-15 metri di larghezza e 60-80 di lunghezza. In fase costruttiva si cercava di sfruttare la roccia presente nella parte rivolta al probabile tiro nemico come ulteriore protezione dell'opera ma se questo non era possibile, dopo la gettata del calcestruzzo, il materiale di riporto veniva nuovamente usato per coprire la gettata stessa.

La struttura era normalmente a due piani e sulla copertura corazzata  emergevano solo le cupole ospitanti i pezzi.

L'armamento standard era costituito da 4 o 6 pezzi d'artiglieria di media gittata (12 km) ed erano montati su affusti girevoli a 360° solidali con la cupola stessa. I pozzi girevoli erano affogati nella gettata di calcestruzzo ed erano accessibili da una stretta rampa di scale dall'interno del forte. Tra i pozzi vi era una distanza di 10-12 metri e vi erano dei vani adibiti al deposito del munizionamento di pronto impiego (ovviamente disinnescati).

Le scale di accesso erano un punto debole poiché li lo spessore del calcestruzzo si assottigliava e poteva esser penetrato dalle granate perforanti.

Le cupole erano in acciaio e permettevano di resistere ai colpi delle granate da 149mm anche se erano costituite da tre spicchi saldati assieme (il tipo Armstrong) o in due calotte semisferiche (il tipo Schneider).

Davanti alle calotte, affondate nel cemento, erano posate 6 piastre di ghisa per evitare, nel caso in cui l'opera fosse stata colpita, che il terreno sconvolto dalle esplosioni impedisse al pezzo di sparare o di ruotare. L'avancorazza aveva uno spessore di 4 metri ma la volta che proteggeva le batterie era di appena 2.5 metri.

Inizialmente questi spessori erano ritenuti sufficienti a resistere alle granate fino a 210 mm ma all'inizio della guerra questo limite fu ampiamente superato dai progressi delle artiglierie che disponevano di calibri ben superiori: 305 e 420 mm e non più sparate da cannoni a tiro teso ma da obici a tiro curvo che facevano piovere i proiettili dall'alto con una forza di penetrazione venti volte superiore!

Basti pensare che un proiettile Skoda da 30.5 cm pesava 390 kg e quelli degli obici da 38 e da 42 cm pesavano rispettivamente 800 e 1.000 kg. La forza di penetrazione di un proiettile da 30,5 cm semplicemente per caduta era di 2,90 metri (nel calcestruzzo!), quello da 38 cm era di 5 metri e quello da 42 cm era addirittura di 6 metri. Il colpo quindi penetrava nella struttura e poi vi esplodeva dentro creando un effetto mina devastante. Per capire la differenza di resistenza basti pensare che un proiettile da 149 mm italiano (termine di paragone usato per i test ) era di appena 42 kg!

Come erano armati i forti italiani?

Già nel 1903, visti i poderosi progetti fortificatori, venne scelto il cannone da 149 mm prodotto nei cantieri della Armstrong a Pozzuoli. La Armstrong da sola non era però in grado di evadere gli ordinativi in tempi ragionevoli, così fu deciso di dirottare alcune commesse anche ad altre aziende produttrici di armamenti, in particolare alla Schneider che produsse il 149/35 S dalle medesime caratteristiche.

Data la cronica mancanza di finanziamenti furono utilizzati anche altri tipi di bocche da fuoco, come gli antiquati 120G e 149G (in ghisa) e alcuni moderni cannoni Armstrong 120/40 a tiro rapido meno costosi . I cannoni potevano essere rimossi dagli alloggiamenti in fortezza e utilizzati come normale artiglieria campale montandoli su ruote e equipaggiati con freni idraulici e recuperatori a molla.

All'interno dei corridoi che servivano le cupole vi era un binario a scartamento ridotto dove scorrevano i carrelli che rifornivano le postazioni di proiettili. Le granate (perforanti e dirompenti) erano conservate nella polveriera, generalmente situata in posizione protetta e in galleria, con una scorta di esplosivo che andava dalle 50 alle 100 tonnellate. I sacchetti di balistite venivano depositati lontani dai proiettili che venivano a loro volta confezionati solo al momento dell'uso (quindi caricati e spolettati) ma non innescati. L'innesco veniva completato dagli artiglieri solo al momento del caricamento del pezzo.

Per la difesa ravvicinata la guarnigione presente nella fortezza si avvaleva di postazioni predisposte per i fucilieri dotate di feritoie ma aveva a disposizione anche le torrette corazzate a scomparsa modello Gruson che ospitavano mitragliatrici Gardner a due canne o Maxim mod. 1906 e Perino mod. 1908. Inizialmente, in queste stesse torrette, furono montati anche dei cannoncini a tiro rapido da 57 mm.